Il nostro viaggio con AIFO in Guinea Bissau

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mercato di gabu un uomo vende il pane in una gabbia appoggiata su una carriola durante il nostro viaggio in guinea bissau con aifo per formare i migranti di ritorno

Due settimane in giro per la regione del Gabu, nell’entroterra della Guinea-Bissau, in Africa occidentale, percorrendo le strade sterrate di polvere rossa e andando a conoscere le storie di chi da questa terra è partito in cerca di una vita migliore, e poi è dovuto ritornare. Dal 9 al 22 giugno Open Group è stata in missione con la ong AIFO – Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau, all’interno del progetto “Mais comunidade mais força”, per aiutare 25 migranti di ritorno e giovani a rischio migrazione ad avviare alcune microimprese sul territorio. Le idee sono tante: c’è chi vuole aprire un ristorante, chi un salone da parrucchiere, chi produrrà miele e chi coltiverà patate, chi vuole allevare galline e chi farà il meccanico di auto o di biciclette. Il progetto è finanziato da AICS – AID 11274.

“Grazie a questo progetto potrò sviluppare la mia attività di sartoria”, racconta Bacar Mané, uno dei beneficiari. “Per il momento ho solo una macchina da cucire meccanica che tengo in casa, per aprire una vera sartoria mi mancano lo spazio e alcuni macchinari”. Bacar ci mostra il luogo in cui adesso lavora e ci racconta che ha sempre fatto questo mestiere, fin da quando era piccolo: “Con questa macchina da cucire mantengo la mia famiglia: le mie clienti vanno al mercato, comprano il tessuto che preferiscono e me lo portano, poi io creo il vestito a seconda del modello che scelgono. Grazie al progetto AIFO potrò permettermi di affittare uno spazio e di comprare altre attrezzature, tra cui una macchina speciale per i ricami, che mi permetterà di ampliare la mia attività”.

Edimar Ampaciqueira invece ha il progetto di aprire un laboratorio di pane e pasticceria: “Produrremo pane, panini, frittelle e torte. Nella città di Gabu non esiste ancora un’attività del genere: vogliamo sperimentarci in qualcosa di nuovo e creativo. In questo modo, potremo diventare fornitori di istituzioni pubbliche e private, ong e associazioni giovanili”. Il laboratorio verrà costruito nel cortile interno della casa di Edimar e darà lavoro a cinque persone: un ragazzo sarà incaricato della produzione di pane, tre donne cucineranno le frittelle e l’ultimo si occuperà della distribuzione e della logistica dell’impresa. “Il mio obiettivo è di dare un aiuto a chi ha poche opportunità, perché possa avere un guadagno che gli permetta di autodeterminarsi e prendere le proprie decisioni”.

Open Group ha gestito un percorso di formazione che, nel corso di due settimane, ha portato questi giovani a riflettere su diversi aspetti del fare impresa: come investire le risorse iniziali, quali sono le principali voci di spesa e come gestire l’attività in modo che duri nel tempo. Una volta conclusa la formazione, ora inizierà la fase operativa: la ong AIFO farà un investimento iniziale a fondo perduto per finanziare l’avviamento di queste start up e guiderà i ragazzi attraverso un’attività di accompagnamento e monitoraggio, per aiutarli a superare le iniziali difficoltà.

“Quello che accomuna tutte le start up nel mondo è che all’inizio faticano ad avviare la loro attività: spesso accadono imprevisti o ci si accorge di aver sottovalutato qualche aspetto”, commenta Federico Cavina, che ha gestito la formazione per conto di Open Group. “È normale, non c’è niente di sbagliato. L’importante è essere pronti a ogni evenienza, perché il successo di una nuova impresa non si misura sulla base di come comincia, ma di quanto riesce a durare. Ecco perché l’attività di accompagnamento e monitoraggio sarà fondamentale: tra un anno, speriamo che tutte queste start up siano ancora attive, producano ricchezza per la comunità, impieghino persone e forniscano prodotti di qualità e sostenibili”.

Foto di Alice Facchini


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