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In Guinea Bissau per formare i migranti di ritorno

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Intervista a Federico Cavina, formatore di Open Group per il progetto AIFO “Mais comunidade mais força”

Foto di Alice Facchini

Dal 9 al 22 giugno Open Group è stata impegnata in Guinea-Bissau con la ong AIFO – Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau, per organizzare un percorso di formazione indirizzato a 25 giovani della regione del Gabu. L’obiettivo? Aiutarli a sviluppare idee per avviare piccole imprese che possano migliorare la loro situazione e portare beneficio alla comunità, rafforzando l’economia locale. Il progetto è finanziato da AICS – AID 11274.

Federico Cavina, che ha gestito la formazione per Open Group, racconta la sua esperienza.

Com’è stata articolato questo percorso di formazione?
La formazione si è svolta nei distretti di Gabu, Sonaco e Boè, ed è stata suddivisa in tre tappe, con l’alternanza di incontri individuali e di gruppo. Abbiamo cercato di variare sia nei contenuti che nei metodi di apprendimento, in modo che le sessioni fossero il più possibile interessanti per i beneficiari.

Quali argomenti sono stati affrontati?
Per prima cosa abbiamo cominciato con un incontro di gruppo, in cui abbiamo parlato di come utilizzare al meglio le risorse iniziali dell’impresa, suddividendole in materie prime, attrezzature, pubblicità, formazione e la cosiddetta “riserva”… Infatti, quello che accomuna tutte le start up nel mondo è che all’inizio faticano ad avviare la loro attività: spesso accadono imprevisti, o ci si accorge di aver sottovalutato qualche aspetto. È normale, non c’è niente di sbagliato. Ma bisogna essere pronti a ogni evenienza, ecco perché è importante avere un fondo di sicurezza, una “riserva” appunto, in cui mettere da parte alcune risorse per poter superare i primi mesi di difficoltà.

Come gestire quindi l’investimento iniziale?
Quella dell’investimento iniziale è una fase delicata, per questo nella seconda fase ci siamo messi a studiare queste imprese una per una, riflettendo su come utilizzare le risorse disponibili. Per farlo abbiamo usato un metodo alternativo: abbiamo preso dei mattoncini colorati, facendo finta che ognuno corrispondesse a 10mila franchi guineensi. Abbiamo chiesto a ciascuno di individuare le proprie voci principali di spesa e di associare le torrette di mattoncini a ciascuna di queste voci: questo li ha aiutati a visualizzare come stanno investendo le risorse e a capire che i fondi non sono infiniti. Per ogni impresa sono emerse opportunità e problematiche, che abbiamo cercato di risolvere attraverso soluzioni che a volte venivano da noi, altre volte arrivavano direttamente dai beneficiari.

Foto di ALice Afcchini

Dopo l’avviamento, qual è la sfida per questi nuovi imprenditori?
L’obiettivo fondamentale di ogni impresa è quello di durare nel tempo. Le risorse guadagnate giorno per giorno non devono essere utilizzate subito per sopperire ai bisogni momentanei, ma devono essere messe da parte per affrontare anche le spese future: l’affitto, le utenze, i salari dei dipendenti… In questa fase, abbiamo costruito dei tabelloni con tante tasche, una per ogni voce di spesa che va sempre tenuta a mente. Nei prossimi mesi ogni impresa avrà il proprio tabellone, da utilizzare man mano posizionando parte del guadagno mensile nelle diverse tasche. Il nostro obiettivo è che, tra un anno, queste imprese siano ancora attive, producano ricchezza, impieghino persone e forniscano ancora prodotti di qualità e sostenibili. La parte più importante della nostra formazione è proprio questa: far capire che il successo di una nuova attività non si misura sulla base di come comincia, ma di quanto riesce a durare.

 

A chi è stata indirizzata questa formazione?
Il nostro target sono i giovani imprenditori tra i 18 e i 35 anni che vogliono sviluppare la loro idea di start up, ma anche i formatori locali di AIFO, che hanno gestito insieme a noi tutte le sessioni: questo ha permesso loro di comprendere meglio le dinamiche di impresa e cominciare a pianificare gli investimenti futuri insieme ai beneficiari. Una volta che andremo via, saranno loro a continuare il nostro lavoro: il monitoraggio sarà una parte importantissima, che servirà per raddrizzare la rotta nel caso qualcosa non andasse come pianificato.

Quali difficoltà sono state riscontrate durante la formazione?
La difficoltà maggiore è stata quella di stimolare i ragazzi a essere creativi, a differenziarsi e a ideare a qualcosa di veramente nuovo, mentre la tendenza è di riproporre quello che già esiste. Per questo, li abbiamo incentivati a dedicare parte delle loro risorse alla formazione, non per forza intesa come formazione scolastica o teorica, ma come impegno per comprendere il mercato e verificare se c’è qualcun altro che sta facendo qualcosa di innovativo.

Quali risultati sono stati raggiunti?
Questa formazione è stata un’occasione per mettere in piedi un bellissimo confronto: formatori dall’Italia, formatori locali e beneficiari si sono messi insieme per creare nuove microimprese. È emersa forte la voglia di questi giovani di essere padroni del proprio lavoro, e questa energia ha contaminato anche i formatori, che si sono sentiti parte di questa scommessa. Ma la cosa più straordinaria è che, anche nell’entroterra della Guinea-Bissau, siamo riusciti a parlare di impatto sociale: un’impresa infatti non deve portare beneficio solo al proprietario e alla sua famiglia, ma anche alla comunità tutta.

Questa formazione si conclude in Guinea-Bissau?
Assolutamente no. Questa è stata per noi l’occasione per ideare un modello formativo replicabile, un format che può essere esportato anche in altri contesti di sviluppo, per incentivare la microimprenditorialità giovanile e dare una risposta ad alcune problematiche economiche e sociali. L’elemento innovativo della nostra formazione sta nell’utilizzo di strumenti concreti ed efficaci, come i mattoncini colorati o il cartellone con le tasche che, attraverso il gioco, stimolano la riflessione e rimangono alle persone del posto anche dopo la nostra partenza, per accompagnarle durante lo crescita della loro attività.

Foto di Alice Facchini


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